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Immagine del redattoreAlessandro Masulli

Il "Contadino di Somma": emozione e descrizione del prof. Carmine Cimmino





Il pittore Marco De Gregorio nacque a Resina, attuale Ercolano, il 12 marzo del 1829 da Francesco ed Elisabetta Beato. Iscritto all'Accademia di Belle Arti di Napoli, frequentò i corsi di pittura del maestro Camillo Guerra (1797 - 1874), perfezionandosi in pittura storica. Conseguito il diploma, si trasferì nella vicina Portici, dove allestì, in alcune stanze dell'ex palazzo reale, una casa studio. Qui, con altri amici pittori, istituì un nuovo movimento artistico, identificato come Scuola di Portici, che si contrapponeva ideologicamente al romanticismo dell'artista napoletano Domenico Morelli (1826 - 1901).

Nel 1868, divenne socio della Promotrice di Belle arti di Napoli, come afferma il dott. Stanislao Scognamiglio di Portici. L'anno seguente si recò in Egitto, dove - su commissione del vicerè egiziano - dipinse, tra l'altro, un sipario per il nuovo teatro del Cairo. Il suo lavoro gli procurò così tanto successo che fu invitato a rimanere in qualità di direttore di scenografia.

Ritornato a Napoli nel 1871, ridotto in stato di miseria, prese contatto, dapprima, con il mercato francese e, successivamente, con l'ambiente fiorentino. La sua pittura - continua Scognamiglio - si distinse per una visione sobria e severa, quasi arcaica. Morì, all'età di 45 anni, a Resina il 16 febbraio del 1876. Portici lo ricorda attraverso l'intitolazione di una strada. Tra le più celebri opere, molte delle quali andate disperse, spicca l'olio su tela, cm. 24 x 40 (1872-73), conservato nel Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli, dal titolo il Contadino di Somma.


Il prof. Carmine Cimmino di Ottaviano, noto esperto di pittura, afferma a tal riguardo:

Un contadino nella posa di un re . Marco De Gregorio dà al ritratto del contadino il taglio che i pittori riservavano e i fotografi riserveranno a re e a condottieri: è l’iconografia di Murat, codificata da Wicar e da Gérard, è la posa di alcuni ritratti di Garibaldi e di Vittorio Emanuele II. Nessun altro pittore dell’ Ottocento ha osato tanto. Alla base dell’ audacia di De Gregorio c’è l’intenzione di rappresentare una comunità che si riconosce nei valori dell’agricoltura, che si nobilita nella fierezza con cui affronta, ogni giorno, la pena di vivere, e nella consapevolezza che la sua fatica rende la terra una generosa dispensatrice di vita e di saggezza per tutti: una terra Madre.

Il contadino di Somma ha il volto scarno e ruvido della fatica: la struttura triangolare della testa, il solco sulla guancia destra, il contrasto netto tra luce e l’ombra accentuano i tratti della magrezza. La bocca è una nera ferita, modula a fatica un sorriso di sorpresa e di disincanto, lo sguardo è vigile, sotto il peso delle palpebre. Ma questo contadino è, infine, una solida figura, è un fiero padrone del suo spazio, che è fatto di pietra, di verde, di cielo.

Il suo cappello, costruito con pochi e saldi tocchi di pennello, ha la perfetta semplicità di una corona e le sue mani gonfie stringono la cima del bastone come se fosse l’elsa di una sciabola o uno scettro.


Queste scarpe "sguallariate" raccontano una storia dolente di ferite, di calli e di ossa deformi, ma sono robuste: brutte e forti, come la verità. Alla fine, il cappello, la giacca, i pantaloni, le scarpe, la pelle bruciata dal sole, il muro sono dipinti con i toni diversi di uno stesso colore, che è la terra di Somma, a cui sono stati aggiunti, qua e là, il bruno e l’ocra.

Il colore dominante non poteva essere, nella realtà che si fa simbolo, che un colore di terra. De Gregorio non avrebbe mai usato i rosa, i rossi, il grigio di perla che squillano sulle carni e sugli abiti dei finti contadini e dei falsi pastori in quella leziosa pittura che Cecioni (Adriano Cecioni 1836 - 1886, scultore, pittore e critico d'arte) condannò come nauseante e stomachevole e paragonò a una donna che ha messo "il culo alla finestra con la posa del très joli".



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