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Immagine del redattoreAlessandro Masulli

Somma, 23 luglio 1861

Aggiornamento: 9 giu 2021


A Somma Vesuviana si ricorda un clamoroso episodio di fucilazione, senza regolare processo, ad opera del capitano Federico Alberto Bosco, conte di Ruffina e capitano del 3° reggimento bersaglieri di Torino. Il 23 luglio del 1861 nei pressi del largo Mercato, oggi piazza Vittorio Emanuele III, sei cittadini di Somma furono fucilati dal plotone piemontese senza uno straccio di processo.

(collezione Dott. Domenico Russo )


Alla domane alle 6 del mattino venne aperta la porta del quartiere della guardia. Ad uno ad uno i sei condannati vengono condotti colla benda agli occhi presso una muraglia bianca, tutta coronata di fogliame, scortati da tre bersaglieri. Un caporale gli fa appoggiare al muro ed un rapido comando rende cadaveri quegli sciagurati, un istante innanzi rigogliosi d'una vita sì tristamente spesa. Il nostro fotografo ebbe il raro sangue freddo di rimanere presente alle sei esecuzioni e di coglierne sull'atto la immagine che qui riproduciamo (tratto da Parisi D., L'eccidio di Somma del 23 luglio 1861, in In Somma ...la Storia , Periodico del Laboratorio storico della Scuola San Giovanni Bosco - Summa Villa, Somma Vesuviana, Giugno 2021)


Ecco i nomi scolpiti sulle sei pietre d'inciampo o stolpersteine:


Francesco di Mauro nato a Somma il 21 agosto del 1816 da Giuseppe e Teresa Terracciano, sposato con Donna Errichetta Pisanti (+ 1898) fu Filippo di Ottajano, domiciliato in Strada Castiello, impiegato civile;

Giuseppe Iervolino nato a Napoli (?) da Domenico (negoziante) e Donna Rachele Cuocolo, sposato con Angela Rosa Perillo, domiciliato in Strada Persico, proprietario;

Angelo Granato nato a Somma il 23 marzo del 1808 da Carmine e Aurelia Mele, sposato il 30 giugno del 1845 con Anna Maria Granato, domiciliato in Strada Ciciniello, proprietario;

Luigi Romano nato a Somma il 2 maggio del 1825 da Carmine ed Eugenia Colella, sposato con Vincenza di Palma, domicilato in Strada Pigno, proprietario;

Saverio Scozio nato a Somma il 31 luglio del 1832 da Nicola Sposito seu Scozio e Maddalena di Mauro, sposato il 31 gennaio del 1853 con Chiara Maria Concetta di Palma, domiciliato in Strada Castello, possidente;

Vincenzo Fusco nato a Somma il 2 novembre del 1805 da Sabato e Carmina Maione, sposato il 2 aprile del 1831 con Pasqua De Falco e domiciliato in Strada Spirito Santo, contadino.

Un triste episodio, comunque, per la nostra comunità, che ancora oggi si interroga su quegli efferati delitti commessi all’indomani dell’Unità d’Italia. È evidente che i piemontesi vollero a tutti i costi ristabilire l’ordine, ma rimane il dubbio se i sei fucilati fossero veri briganti oppure vittime di qualche resa di conti tra le potenti famiglie locali, divise ormai in due fazioni, come spiega il prof. Carmine Cimmino.


La lista dei nomi, stranamente, fu consegnata al capitano Federico Bosco, conte di Ruffina, dal Sindaco Domenico Angrisani e dal capitano della Guardia nazionale Vincenzo Giova. Altri due fermati furono rilasciati in quanto religiosi: Rev. Felice di Mauro (1812 – 1893) di Giuseppe e Teresa Terracciano, fratello maggiore di Francesco; l’altro reverendo si suppone – secondo lo storico locale Dott. Domenico Russo – che fosse Mons. Giovanni de Felice (1798 – 1877) di Andrea e Donna Maria Giuseppa d’Amato. Alcune fonti, peraltro, sostengono che a Mons. De Felice fosse stato, addirittura, risparmiato l’arresto per l’immediata intercessione del Cav. Alfonso Catalano Gonzaga dei Duchi di Cirella. Saverio Scozio, una curiosità, era nipote di Francesco di Mauro e del Rev. Don Felice di Mauro, in quanto la madre Maddalena era una sorella dei due condannati.


Le ultime acquisizioni del prof. Domenico Parisi asseriscono che la fucilazione avvenne alle ore 6:00 di mattina, mentre gli atti di sepoltura e di morte, conservati nell'Archivio storico cittadino, sostengono alle ore 15:00. A riguardo, per dovere di cronaca, gli atti cimiteriali sono datati 23 luglio, con orario di morte alle ore 15 e inumazione dei cadaveri tra le 23 e le ore 24 dello stesso giorno; mentre per lo Stato Civile, l'annotazione dei decessi avvenne il giorno dopo, 24 luglio, seguendo uno schema che prevedeva la presenza, oltre del Sindaco Domenico Angrisani e del segretario Casillo, di due dichiaranti e conoscenti dei defunti: Vincenzo D'Avino, impiegato civile, e Saverio Mirolla, serviente comunale. La registrazione degli atti di morte allo Stato Civile seguì questo orario: ore 11:00 per Francesco Di Mauro, 11:30 per Giuseppe Iervolino, 12:00 per Angelo Granato, 12:30 per Luigi Romano, 13:00 per Saverio Scozio ed, infine, ore 13:30 per Vincenzo Fusco. Presente, solo in tre atti su sei, l'espressione Ignorandosi dai dichiaranti il dippiù voluto dalla legge.

Perché, per prima, l'addetto del cimitero fu costretto ad attestare il decesso alle ore 15 e non alle 6 di mattina? Sicuramente - spiega Parisi - per dimostrare che in quelle nove ore era stato compiuto un veloce e regolare processo, che invece non fu mai svolto. Tutto ciò attesta, senza dubbio, la malafede del Sindaco Domenico Angrisani, peraltro ufficiale dello Stato Civile, e del capitano Vincenzo Giova della Guardia Nazionale, che consegnarono al capitano Federico Bosco la lista di nomi di coloro che dovevano essere condannati. Insomma, il Sindaco Angrisani, con quella mossa, non solo potette ristabilire l'ordine sociale, ma si sbarazzò anche di personaggi a lui indesiderati d'accordo con il capitano Giova. La notizia dell'eccidio, comunque, destò tantissimo clamore negli alti ambienti della cultura napoletana, tra i giornalisti e i politici dell'epoca.

Targa commemorativa del 2 giugno 2021


Comunque – continua il prof. Cimmino – nessuno dei fucilati apparteneva alle famiglie più compromesse con il brigantaggio locale. Inoltre, proprio nell’agosto successivo, il neo sindaco Michele Pellegrino (nato nel 1833) dichiarò ufficialmente che Angelo Granato e Giuseppe Iervolino erano stati sempre veri liberali e attaccati all’unità italiana e guardie nazionali di esemplare lealtà. Sia il Granato che Iervolino, però, dalle ultime acquisizioni, erano estranei alla Guardia Nazionale, come si evince dagli elenchi depositati nell’ Archivio storico cittadino. Dopo la fucilazione, la Giunta comunale deliberò la somma di 26 carlini per la spesa del trasporto su un carretto dei cadaveri al camposanto, dove furono sepolti, senza alcuna benedizione, in una parte esterna al quadrato dell’antico cimitero, detta dei colerosi. La tesi, comunque, dell’esecuzione capitale senza processo venne sostenuta a tutti gli storici filoborbonici dell’epoca, come afferma il compianto Giorgio Cocozza nei suoi studi.


Il 3 agosto successivo, comunque, il popolo di Somma inviò al Questore di Polizia o Ministro a Napoli una lettera di protesta contro i soprusi e le esecuzioni sommarie commessi dai nazionali e soldati Piemontesi (ASN, Alta Polizia, fs. 183, inc. 6406, f.11). L’intervento pressante del Governatore della Provincia di Napoli, marchese Camillo D’Afflitto (1818 – 1899), e del Cardinale Sisto Riario Sforza (1810 – 1877) e le insistenti denunce del deputato Giuseppe Ricciardi (1808 – 1882), esponente di spicco della Sinistra Parlamentare Meridionale, costrinsero – conclude Cocozza – il Generale Enrico Cialdini (1811 – 1892) ad arrestare il capitano Bosco, sottoponendolo al Consiglio di Guerra. Trasferito dal carcere di Castel dell’Ovo a Torino per essere giudicato, il capitano Bosco fu prima rinviato a giudizio e successivamente e, soprattutto, clamorosamente, assolto in giudizio il 30 novembre del 1861.


IL CONTRIBUTO DEL PROF. LUIGI IROSO DI SAN GIUSEPPE VESUVIANO SULL' ECCIDIO DI SOMMA.


Al fine di contribuire a dipanare la questione riportata nell'articolo, pubblicato sul Mediano, mi permetto di inviare quanto ho rinvenuto, a suo tempo, presso l'Archivio di Stato di Napoli - Fondo Dicastero dell'Interno e Polizia della luogotenenza, f. 183 - sul conto dell'efferata esecuzione avvenuta a Somma Vesuviana il 23 luglio del 1861. 24 luglio 1861 - Dal Maggiore generale (attuale Generale di Divisione) dei carabinieri al Dicastero dell’Interno e della polizia:

Il capitano Bosco Federico giunto in Somma il 22 andante con 77 bersaglieri e tre ufficiali del 20 battaglione faceva arrestare gli individui a margine noti i quali dalla pubblica voce e dalle informazioni più minute risultano protettori delle bande dei soldati sbandati che infestano il Vesuvio con somministrare loro notizie e quanto altro occorre. Quindi sottoposti a Consiglio di Guerra furono condannati alla fucilazione che venne eseguita ieri nel pomeriggio. Il canonico don Felice Mauro, accusato dello stesso reato, fu rilasciato in libertà per aver giustificato la sua innocenza.

Annotazione a margine: Francesco Mauro fu Giuseppe, Luigi Romano di Carmine, Francesco (ossia Saverio) Scozio di Nicola, Giuseppe Iervolino fu Domenico, Angelo Granata fu Carlo e Vincenzo Fusco fu Sabato.


Il prof. Domenico Parisi, storico locale, afferma che la dichiarazione del Maggiore Generale dei Carabinieri non concorda con quanto riportato dai testimoni oculari nell'articolo del Mondo illustrato del 1861. Non concorda nemmeno con la versione del Procuratore Generale della Gran Corte Criminale di Napoli, Avv. Camillo Trombetta (1813 - 1881), che addirittura si dimise dall'incarico proprio, perché i sei uomini erano stati fucilati all'alba e senza processo. Non concorda, infine, nemmeno con il giornale satirico napoletano Lo cuorpo de Napole e lo Sebbeto del 25 luglio 1861 , scritto tutto in dialetto, che, tra l'altro, spiega il perché furono seppelliti a tarda notte, scrivendo: i sei briganti fucilati rimasero esposti sotto l'orologio della piazza per tutto il giorno. È possibile, dunque, che anche la dichiarazione dell’Ufficiale dei Carabinieri, citata dal documento del prof. Luigi Iroso, sia stato un misero tentativo per discolpare il capitano Federico Bosco e provare a togliere la vergogna dalla faccia dell'esercito piemontese, allo stesso modo di ciò che fece il Generale Genova Thaon di Revel (1817 - 1910) con la sua ridicola testimonianza al processo militare contro Bosco per abuso di potere.

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