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Immagine del redattoreAlessandro Masulli

Viaggio tra le antiche famiglie di Somma: i Bellobuono

Aggiornamento: 13 ago 2023

Sollecitato dall'amico Giovanni Bellobuono ad indagare sulla storia del suo cognome, ho tentato di fornire alcuni spunti sull'origine del ceppo familiare della Terra di Somma. Il cognome, comunque, derivante da un soprannome, oltre ad essere campano, è tipico della provincia di Napoli.


Scudo araldico sec. XVIII


La prima e interessante attestazione di questa famiglia risale al 1796, quando i nobili fratelli di Vico Equense, Andrea e Ciro Cosenza, con atto del notaio Biagio Massa del 17 aprile 1796, acquistarono dai Bellobuono di Somma, versando loro 5.000 ducati d’argento, un intero fondo nel casale di Montechiaro a Vico Equense di circa 40 - 50.000 mq, compreso il rudere della torre e la cappella gentilizia. A riguardo, tale cappella era stata edificata nel 1704 da tale Dottor Fisico Giuseppe Bellobuono, la cui famiglia vantava numerose altre proprietà anche a Napoli (cit. Avv. Francesco Saverio Esposito).

All’ epoca, nel 1796, i Bellobuono erano già presenti a Somma con il possidente don Gabriele, che aveva convolato a nozze con Donna Marianna Granato, figlia di Tommaso e di D. Giustina Maione, nata nel 1754 ca. e morta in strada Tirone il 7 settembre del 1818. Tale famiglia, comunque, non è annoverata nel librone catastale borbonico del 1744: si presume, quindi, che l’arrivo in città fosse avvenuto dopo quella data. Ma chi era Donna Marianna Granato? Osservando, attentamente, la pianta della Terra di Somma del 1800, conservata al Museo di Capua, del cartografo Luigi Marchese ci accorgiamo che nella località detta Tirone si estendeva un giardino con casa di abitazione di circa ½ moggia. La proprietà apparteneva al facoltoso sommese don Tommaso Granato; una figlia, proprio Donna Marianna, avrebbe sposato il possidente, quasi certamente napoletano, d. Gabriele Bellobuono.


Luigi Marchese: parte della mappa del 1800


Da questo matrimonio nacque nel 1779 ca. d. Tommaso, che già nel 1811 risultava proprietario del suolo e della casa di strada Tirone, come risulta attestato nel Catasto Provvisorio francese di quell’epoca. Oltretutto, bisogna aggiungere che già nel 1806, Tommaso Bellobuono era annoverato tra i migliori possidenti della città in quanto iscritto in un elenco di 44 benestanti con una rendita superiore a 96 ducati (cit. A. Di Mauro, Università e Corte di Somma - I Magnifici). Nello stesso anno, quasi sicuramente, sposò la cittadina anastasiana Donna Arcangela Miranda, da cui nacquero ben sei figli: Maria Antonia (1807 – 1886), Gabriele (1809 – 1894, celibe), Maria Vincenza (nata nel 1812), Maria Elena (1814 – 1886), Fedele Maria Salvatore (1816 – 1817, morto prematuramente) e di nuovo Fedele (1818 – 1871 – fabbricatore). Nello Stato di popolazione del 1819 troviamo, inoltre, inserita nel nucleo familiare di d. Tommaso anche la zia (sorella della madre) d. Maria Carmela Granato.



Albero genealogico XVIII - XIX sec. (Archivio storico cittadino Somma Vesuviana)



Sarebbe stato quest’ultimo, Fedele, fabbricatore e proprietario, ad originare quel lungo ceppo sommese, sposando dapprima Domenica Di Monda nel 1843 e generando, poi, ben undici figli.


Lo stemma o scudo della famiglia Bellobuono era collocato sul portone d’ingresso del palazzo di via Tirone fino ad una cinquantina di anni fa. Alcuni ragazzi, ora adulti, lo ricordano quando percorrevano la via detta della papera per raggiungere il Rione Santa Croce. A riguardo, la blasonatura esalta un’oca in campo naturale con il motto vita et mors. Siamo riusciti a rintracciare lo scudo familiare grazie alla gentile disponibilità dell’Avvocato Nicola Pesacane, esimio studioso di araldica e genealogia. La raffigurazione è presente sullo Stemmario CD. XVII, Anonimo, 1780, Vol. I, pag. 185.

In araldica, comunque, l’oca ha una fama migliore che nel parlare comune, in quanto è assunta a simbolo di vigilanza e custodia per il suo sonno leggerissimo, come testimoniato anche dall’episodio delle oche del Campidoglio. Il motto, invece, vita et mors, fu quasi certamente estratto dalla famosa frase di Seneca: Vita et mors iura naturae sunt.



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